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“Antoine Poncet” Aureo equilibrio nell’astrattismo internazionale
au Centre International d'Arts Plastiques de Carrare, Italie

du 30 juin au 8 septembre 2013



carlonicoli.com/

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Légendes de gauche à droite :
1/  Antoine Poncet, Épurée, 1994, marmo bianco Sivec, 350x100x100 cm, pezzo unico. Foto e © Stefano Sabella
2/  Antoine Poncet, Flamboyante,1975-1982. h240 cm. Genève, Place des Bergues (Suisse)
3/  portrait d'Antoine Poncet, © Sergio Sabella.

 


1006 Antoine-Poncet audio
Entretien avec Antoine Poncet,
propos recueillis par Pierre Normann Granier, à Paris, le 27 juin 2013. durée 9’45". © FranceFineArt.

 


extrait du communiqué de presse :

 

Commissaire : Francesca Nicoli Alix

 

Si terrà nell’ambito della prossima edizione di Carrara Marble Weeks, organizzata dall’Ente Fiera di Carrara in collaborazione con il Comune di Carrara e l’Associazione Industriali Massa e Carrara, ed andrà avanti per quasi tutta l’estate la mostra di opere monumentali del grande esponente del linguaggio astratto Antoine Poncet.
Lungo l’arco di tutta una vita Antoine Poncet ha seguitato ad accumulare successi senza mai strafare, anzi il più delle volte con una certa placidità. Dal 1993 è accademico all’Institut de France, più tardi è presidente dell’Académie des Beaux Arts di Parigi, ma la sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia si registra già nel 1956. Sue opere monumentali, di un linguaggio astratto nettissimo e raffinato, si trovano nelle migliori collezioni d’arte del mondo, dalla Fondazione Gianadda in Svizzera all’Open-Air Museum di Hakone in Giappone, dal parco della università californiana di Stanford al ben più vicino Centre Pompidou della sua amata Parigi. È rappresentato a New York da Nathan Cummings, Slatkine e Weintraub dagli anni settanta, ma è la sua rapida e ben radicata penetrazione in Medio ed Estremo Oriente a fare di questo artista franco-svizzero una figura tipica e anche precoce del mondo globalizzato. È a un simposio storico in Giappone nel 1963, l’anno successivo l’archi-star giapponese Kenzo Tange lo intercetta per la Fondazione Kyoto. E segna un altro punto nel 1967 ponendo un grosso lavoro all’ambasciata svizzera di Pechino. Dagli albori del XXI secolo Poncet non smette di lavorare in Cina, introdotto per vie personali e per la fitta rete di consolidati rapporti internazionali. E l’affinità di carattere diventa motivo di successi. Non turbare, passare inosservati, ma fare breccia e trapassare anche i muri più spessi per forza di inerzia, come l’acqua, attraverso l’azione blanda, perseverante e cocciuta, propria di chi ha dalla sua la calma e quasi una svogliatezza. Guai a volere troppo, mai forzare la mano, al bando la ricetta che vale nelle arringhe televisive della politica, nell’intrattenimento o nella pornografia. Non piace nelle corti più influenti d’Europa e d’oltremare. Poncet ha attraversato con passo felpato un secolo scompigliato e triste, troppo votato all’analisi introspettiva e ai mali sociali, che ha visto succedersi a Parigi un po’ di tutto, fino ai situazionisti e ai filosofi poststrutturalisti contestatari anche di Freud, Lacan e persino di Marx, visti questi ultimi come altrettanti lacci alla liberazione totale. Dei puristi dell’astrazione internazionale egli ha fatto sua una dura lezione di etica che lo sospinge senza scossoni attraverso e oltre le sirene del nichilismo relativista. Al pari di Moore e Arp, Poncet continua a radicare la creazione artistica in una caratura intima che s’ispira a parole terribili e solenni come onestà intellettuale, parole fuori tempo in un’epoca votata a mode tanto più spettacolari quanto più effimere, in condizioni d’impermeabilità uniche e incredibili per uno che lavora con i giovani, estraneo alla volgarità televisiva, incolume dai vizi della società dello spettacolo, così ben preconizzata da Guy Debord nel 1964. Artista di successo di cui volentieri si ricerca la compagnia nel bel mondo a Parigi, nei palazzi reali qatari della sceicca Mozah, nelle più alte sfere della burocrazia cinese di Pechino e Shanghai, così come a casa del maggiore azionista della società di rating internazionale Fitch, l’importante uomo d’affari francese Marc de la Charrière. Presenza quasi unica che unisce in modo raro la dolcezza nei modi e l’essenzialità come missione.
Dopo i primissimi studi della storica Anna Laghi ed a seguito del recentissimo e voluminoso Astratto Monumentale, curato di Valentina Fogher con l’Associazione Arkad, questa mostra intende celebrare Antoine Poncet, grandissimo maestro internazionale. Ma in verità, e alla fin fine, qui si cerca di riaprire un caso, riscrivere una pagina nella storia dell’arte che rimane troppo spesso tralasciata dalla critica odierna, così ostinatamente arroccata sul contemporaneo da trascurare completamente gli esiti della scuola moderna nei suoi attingimenti più alti e significativi. Insieme agli amici e sodali Carlo Sergio Signori e Augustin Cardenas, l’opera di Antoine Poncet segna, nell’ambito dell’astrattismo internazionale dai suoi primissimi inizi in Kandinskij e Klee a noi, la stagione più felice, un’età aurea, una maturità morfologica e d’intenti attinta passando oltre, e digerendo, la naturale irrequietezza dell’espressionismo astratto degli americani attivi negli anni cinquanta. Intorno al 1975, entra nella sua terza generazione il linguaggio astratto, e va oltre i malesseri dell’esistenzialismo aprendosi ad una più ampia dimensione sociale. Un’importantissima pagina nella storia dell’arte cha ha fatto centro nell’area apuo-versiliese, ed è patrimonio spirituale comune fra Carrara e Pietrasanta, nel più generale rigoglio di forme sbocciato all’ombra delle Alpi Apuane, una stagione gloriosa che incomprensibilmente stenta ancora ad essere correttamente intesa ed assimilata dai critici e dagli storici dell’arte di oggi.